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ESPERIENZE IN RETE​

Cara Manuela, sono rimasta colpita da un articolo di Don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele. Sintetizzo quanto scrive: "La sicurezza è un diritto di tutti, è vivere la libertà insieme agli altri, è condivisione di regole in un patto di cittadinanza.  Ma la sicurezza di cui si parla emargina, discrimina, ghettizza. Dietro al diffondersi della paura c'è un enorme deficit di giustizia sociale. Divieti e sanzioni non colpiscono il reato ma la condizione umana, accanendosi sulle persone più fragili. Sicure sono le città che accolgono, tendono la mano, sono disseminate di servizi e punti di riferimento, non eliminano le panchine per impedire la sosta di chi non ha un rifugio".
Sono solamente "belle parole"?
Flavia Rossi



Cara Flavia, sono parole "fuori dal coro" che ci aiutano a vedere la realtà da un punto di vista diverso da quello dominante. La sicurezza è un problema reale che riguarda anche i più deboli (come gli anziani), ma c'è chi usa questa parola per far passare cose orribili. Don Ciotti ci aiuta a non dimenticarlo.

di Manuela Camilloni

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Sicurezza. Sì, ma quale?

La storia di Rhonda

Cara Manuela, apprezzo molto la tua rubrica e vorrei sapere cosa pensi di questa mia "esperienza di vita" che ha portato una persona come me, che non ama esagerare con il pessimismo, a fare pensieri cupi sul futuro della nostra Italia. L'ho scritta usando la forma del racconto breve (ed è tutto vero!).
Ero appena tornato a Roma, stanco ma contento che l'interminabile volo dal Canada si fosse concluso.
Avevo saputo che a Fiumicino c'erano problemi con i bagagli, ma con il mio incurabile ottimismo avevo pensato che fossero stati risolti. Dopo aver raggiunto il luogo dove avrei dovuto ritirare la mia valigia ed aver aspettato con gli altri passeggeri per circa un'ora, avevo preso atto della cruda realtà e avevo deciso di fare la denuncia della scomparsa del bagaglio. Mentre ero in fila era sopraggiunto un tipo "con più fretta degli altri" (?) che aveva sorpassato tutti urlando all'impiegata - che non l'aveva invitato ad aspettare il suo turno - che avrebbe chiamato la Polizia e aveva tirato fuori le solite ovvietà da "politichetta" che taluni usano quando qualcuno "calpesta i loro diritti". Io lo avevo guardato con un'espressione ironica (pensando ai diritti...), ma lui non ci aveva fatto caso. L'energumeno era troppo impegnato ad arringare la folla gridando sempre più forte, forse perché non aveva ottenuto l'approvazione che aveva cercato.
Con la mia mente ero tornato in Canada, avevo ripensato a quando la mia compagna (canadese) ed io eravamo entrati con la sua auto nell'area di un Country Festival nei dintorni di Stony Plain, una cittadina vicina ad Edmonton. Jeanne voleva solo comprare  una speciale torta ai mirtilli, che desiderava farmi assaggiare, presso lo stand di una sorta di "pasticceria country".
Un inflessibile sorvegliante ci aveva subito fermato, avvertendoci che avremmo dovuto acquistare un biglietto del costo di 40 dollari canadesi (28 euro) per entrare. Ma la festa non era ancora cominciata (e poi aggiungere il costo di 40 dollari a quello della torta ci era sembrato eccessivo), così avevamo deciso di andare a mangiare qualcosa a Stony Plain.
Un locale con la scritta "carne di bufalo" mi aveva attirato (un'altra cosa da raccontare al mio ritorno!) ed eravamo entrati nel ristorantino che l'esponeva, accolti da una cameriera dall'aspetto inusuale, almeno per me. Jeanne mi aveva detto che si trattava di una Native American (ovvero quelle persone che noi chiamiamo "Indiani d'America"). La mia curiosità e i suoi modi molto gentili mi avevano spinto a farle qualche domanda e ci aveva confermato quello che Jeanne mi aveva detto, aggiungendo di chiamarsi Rhonda e di essere una single madre di tre figli. Inoltre aveva aggiunto qualche altra notizia  sulla sua Nazione (chiamano così, con molto orgoglio, quelle che noi definiamo "tribù indiane"). Lei si era mostrata incuriosita e meravigliata per il fatto che io venissi da Roma, quasi fossi un essere di un altro mondo (e tutto sommato...). Quando le avevamo raccontato l'episodio della torta aveva commentato con un sincero "Ohhh! I'm sorry!" ("Mi dispiace!"). L'avevo guardata un po' stupito per la sua reazione: "Beh, in fondo lei non c'entrava nulla", avevo pensato vedendola esprimere il suo dispiacere in modo quasi teatrale, come se avessero fatto un affronto a lei. Quando le avevamo chiesto il conto - dopo aver gustato la “mitica” carne di bufalo - lo aveva portato col suo solito sorriso cordiale, ci aveva invitato  a leggere il retro del foglietto e ci aveva salutato. C'era scritto  "Benvenuti a Stony Plain. Il vostro pranzo è offerto da Rhonda". Avevamo impiegato qualche minuto a capire la relazione tra il suo gesto e la storia della torta: non potevamo immaginare  quanto lei avesse sofferto per il modo in cui eravamo stati trattati nella "sua Comunità". Ancora increduli ci eravamo recati alla cassa insistendo per pagare. Non volevamo gravare sullo stipendio (che immagino non sia alto) di una madre che da sola deve tirare su tre figli. La cassiera, con un sorriso di complicità nei confronti di Rhonda, aveva improvvisato che non dovevamo pagare "perché eravamo i cinquantesimi clienti della giornata". Eravamo usciti dal ristorante senza parole, finché un malinconico commento mi era venuto spontaneo: "Proprio come in Italia!". Al ritorno ho riavuto i miei bagagli dopo cinque giorni.

Flavio dell'Orto



Caro Flavio, pubblichiamo volentieri la tua lettera che segnala molte nostre inefficienze. Non c’è molto da aggiungere, anche se vorrei ricordare che nonostante tutto nel nostro Paese vivono tante persone gentili (e contente di essere italiane). Forse è difficile incontrarle...

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